Il bambino che è in noi

Nella notte dell’inverno,

galoppa un grande uomo bianco.

È un pupazzo di neve

con una pipa di legno

un grande pupazzo di neve

perseguitato dal freddo.

In una piccola casa

entra senza bussare

e per riscaldarsi

si siede sulla stufa rovente

e sparisce d’un tratto

lasciando solo la sua pipa

in mezzo ad una pozza d’acqua

ed il suo vecchio cappello.

                               J. Prevert

“Si viveva, così, nell’intervallo ch’è tra il balocco e il mondo” scriveva Rilke nella Quarta Elegia

Non c’è giornata migliore di questa per evocare quest’immagine dell’infanzia: un pupazzo di neve che appare e si dissolve alla stessa velocità con cui il calore riscalda la terra. Quale miglior suggestione per recuperare la necessità di vivere questo tempo sospeso, magico, straordinario.

Quanto è importante in questo periodo recuperare il bambino che è in noi, e con lui la nostra dimensione giocosa e creativa. Scriveva Piaget “il gioco dovrebbe accompagnarci in tutta la nostra vita”.

Niente di importante può accadere ad un bambino che lui non riproporrà nei suoi giochi. Ogni volta che un bambino gioca, ci sta raccontando la sua interiorità, la sua immagine del mondo, il proprio mondo emotivo, ci sta dicendo che cosa sta vivendo. Il gioco non è solo un linguaggio ma è qualcosa di sacro. 

Il gioco come ci insegna Angelo Croci è sempre “un’espansione di energia che il bambino giocando esprime, espandendo la propria vitalità: e allora noi capiamo che il gioco ha che fare con una cosa più segreta e più intima che è la creatività”

Il gioco non è così semplice come crediamo, nel gioco c’è una serietà, una profondità, una sacralità. Basti pensare alla meraviglia che proviamo quando guardiamo i nostri figli che giocano per capire che sta accadendo qualcosa di straordinario. È la prima esperienza del simbolico che diviene nel tempo narrazione di sé: il bambino usa degli oggetti, dei pupazzetti per raccontare delle storie.

Il gioco ci sottrae dal tempo storico e cronologico e ci introduce nel tempo che sant’Agostino chiamava “la durata interiore”. Il tempo, dunque, non va cercato all’esterno, ma nell’animo umano e in esso si misura.

In questo periodo in cui il nostro bambino interiore sta soffrendo perché non più in movimento, trovandosi continuamente braccato entro argini normativi che non consentono il naturale esercizio della tensione vitale, abbiamo bisogno di accedere più che mai alla dimensione creativa per trovare uno spazio espressivo e, conseguentemente, un senso al buio che ci circonda.

La pandemia ci ha immessi improvvisamente in un tempo circolare cui non eravamo abituati. Da sempre noi abitiamo il tempo lineare, il tempo della velocità, il tempo progressivo. Noi abbiamo mai avuto un’autentica esperienza del tempo perché abitati dal tempo e mai capaci invece di abitare il proprio tempo. Questa circolarità nella quale questa pandemia ci ha inserito, in qualche modo, per noi è un’esperienza completamente nuova in cui sperimentiamo per la prima volta l’accesso ad un universo simbolico che inscrive la vita in un ciclo continuo di morte e rinascita. Questo, se da un lato, ci commuove dall’altro ci fa molta paura.

Abbiamo bisogno di recuperare il fanciullo dentro di noi perché, come insegna Marie Louise Von Franz,” quando il Fanciullo appare davanti a noi, rappresenta il rinnovamento, la possibilità dell’eterna giovinezza, della spontaneità e delle nuove possibilità; e la vita scorre verso un futuro creativo”

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