Geometrie del rischio

In un’epoca in cui siamo ossessionati dall’idea di sicurezza e in cui il principio precauzionale è diventato la norma, quanto ha ancora a che fare il fenomeno del gambling con il desiderio di rapportarsi all’ignoto? Quanto in realtà questo rischio è collettivamente determinato ed elude invece il rischio individuale di accogliere la propria sfida individuativa? È possibile leggere simbolicamente questo esodo collettivo o è il mero prodotto di una mercificazione del desiderio di altrove?

La clinica dell’azzardo sottolinea sempre più il ruolo della propensione al rischio quale elemento ricorrente nelle storie dei gamblers in cui si sviluppa il rapporto con la vita – e con la morte – in una tensione polare che contrappone l’onnipotenza all’impotenza, la brama di potere e di status alla disperante perdita di credibilità e di stabilità sul fronte identitario.
Alla luce delle tesi di Beck che identifica la nostra come una società del rischio dove l’incertezza è fabbricata dalla politica in relazione all’innovazione tecnologica e all’accelerazione delle relazioni sociali e di Byung-Chul Han che descrive una società algofobica e prestazionale che produce consenso e omologazione, il gioco d’azzardo può forse rappresentare una modalità, spesso drammatica, attraverso cui l’individuo tenta di recuperare potere e status a fronte di una sempre più incerta definizione del reale, esprimendo al contempo un desiderio collettivo di affrancamento dalla dolorosa realtà del vivere?

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