I vecchi dovrebbero essere esploratori

Casa è da dove si parte. Invecchiando

il mondo diventa più estraneo, lo schema più complicato

di morti e vivi. Non il momento intenso

isolato, senza prima né dopo,

ma una vita che brucia in ogni momento

e non la vita di un solo uomo

ma di vecchie pietre indecifrabili.

C’è un tempo per la sera alla luce delle stelle,

un tempo per la sera alla luce della lampada

(la sera con l’album di fotografie).

L’amore si avvicina più a sé stesso

quando qui e ora cessano di importare.

I vecchi dovrebbero essere esploratori

qua o là non importa

dobbiamo essere in movimento ancora e ancora

verso un’altra intensità

per un’ulteriore unione, una più profonda comunione

nel freddo buio e la desolazione vuota,

il grido delle onde, il grido del vento, le vaste acque

del petrello e della focena.

Nella mia fine è il mio principio.

                                                      T.S. Eliott, Four Quartets (trad.Feltrinelli, 2003)

Scrive Hillman: ““Invecchiare non è un mero processo fisiologico: è una forma d’arte, e solo coltivandola potremo fare della nostra vecchiaia una ‘struttura estetica’ possente e memorabile, e incarnare il ruolo archetipico dell’avo, custode della memoria e tramite della forza del passato.”

Se la psicologia del mattino (della vita) consiste nel radicarsi, trovare il proprio ruolo nel mondo, realizzarsi professionalmente e intessere relazioni significative, la psicologia della sera (della vita) consiste nel fare anima per accedere a quella saggezza che trascende l’Io e il suo sguardo sul mondo. Nella prima metà della vita la nostra attenzione è rivolta al mondo naturale delle cose, nella seconda metà della vita l’interesse è orientato alla cultura, ovvero ad ampliare la propria soggettività, a differenziarsi e ad integrare le parti della propria personalità fino ad allora rimaste inconsce.

Qual è la direzione allora? A cosa serve invecchiare?

Arrivati al crepuscolo, la maggior parte di noi si domanda dove sta andando. C’è una rotta che percorriamo ogni giorno, tra fatica e speranza, attraverso il tempo: è questa la via di casa?

Ognuno di noi esegue traiettorie più ampie attorno alle abitudini che governano ancora l’essere in vita: la solita strada che scegliamo per tornare a casa, il gesto familiare con cui salutiamo il vicino di casa, il modo più lento o più incerto di scendere le scale, le peregrinazioni notturne intorno alle urgenze della vescica, gli accessi della memoria a episodi così lontani nel tempo…Tutto sembra voler evocare la necessità di conoscere l’esistenza in altra forma, uscendo dal letteralismo del vivere per entrare in una dimensione simbolica dove ogni gesto diviene rituale.

Leggere la vecchiaia in chiave mitica ci aiuta a consolidare il nostro compito in vita: ritrovare casa ovvero trovare sé stessi. Ognuno di noi ha l’insopprimibile dovere di scoprire, vivendo con passione e sapienza la costruzione di sé, questo processo che, per definizione, è aperto e che va concretizzandosi lungo l’esistenza. Siamo noi la nostra casa.  Invecchiare è allora la via attraverso cui diventiamo semplicemente quel che siamo.

Come suggerisce Hilman: “Invecchiare non è un accidente ma una necessità della condizione umana: è l’anima a volerlo”

Abbiamo bisogno di avventurarci nelle idee, seguendo una modalità di pensiero lento e paziente, uscendo dalla categoria che associa la vecchiaia alla morte per riprendere l’antica connessione tra vecchiaia e unicità del carattere.

I vecchi possono offrirci la benedizione, ovvero quello sguardo eccentrico che coglie la bellezza nascosta delle cose. In questo modo i vecchi preservano la cultura isolando in ogni cosa la sua essenzialità. L’eccentricità è ciò che testimonia la fedeltà a stessi e sposta l’attenzione dal centro verso la periferia di quel che noi siamo.

“I vecchi dovrebbero essere esploratori” perché conducono al mistero della fine e della rinascita.