La leggenda di Artaban

Chi era Artaban? E che cosa racconta la sua storia?

La tradizione cristiana è ricca di leggende sul quarto Re Magio, la più nota è quella scritta da Henry Van Dyke, pastore della Chiesa presbiteriana, pubblicata nel 1907. Protagonista del racconto è Artaban, che doveva partire assieme agli altri magi, ma si attardò e non fece in tempo a raggiungerli nell’orario stabilito per la partenza.

Nell’antica città di Ectabana, in Persia, viveva un grande saggio, studioso degli astri del cielo di nome Artaban. Artaban, venduti tutti i suoi beni, comprò tre preziosissimi gioielli: uno zaffiro, un rubino e una perla. Voleva portarli con sé per farne omaggio al Re. Cominciò così il suo viaggio. Quando partì, aveva solo dieci giorni per incontrarsi coni tre compagni al monte di Nimrod, presso il Tempio delle Sette Sfere. Mentre si avvicinava al Tempio, il giorno dell’incontro, Artaban vide sulla strada un uomo agonizzante, che si lamentava. Con estrema attenzione e dedizione assistette per ore l’infermo, lo curò, fin quando non gli tornarono le forze. Dopo essere ripartito e dopo aver raggiunto il luogo dell’appuntamento, Artaban scoprì che i suoi amici se n’erano andati. Fu così costretto a venderlo zaffiro per comprare una carovana di cammelli per proseguire il viaggio. Arrivò a Betlemme proprio mentre i crudeli soldati di Erode stavano massacrando i bambini innocenti di quella città. L’uscio di una casa era aperto, e Artaban poter ascoltare una mamma che cantava la ninna nanna al suo bambino. La donna gli disse che i suoi amici Magi erano giunti a Betlemme tre giorni prima. Avevano trovato Giuseppe e Maria e il loro bambino, e avevano lasciato i loro doni ai suoi piedi. Quindi erano scomparsi misteriosamente com’erano arrivati. All’improvviso, all’esterno della casa, rumori, grida, confusione, pianti di donne. E poi un grido disperato: “I soldati di Erode stanno uccidendo i bambini.”

Artaban si affacciò all’uscio e vide una banda di soldati che correva per strada, con le spade sguainate e le mani insanguinate. Il capitano raggiunse la porta, ma Artaban lo fermò e gli diede il rubino, chiedendogli di lasciare in vita la mamma e il suo bambino. Quindi Artaban, sempre seguendo il Re, raggiunse l’Egitto, cercando dappertutto le tracce della piccola famiglia che era fuggita prima che arrivasse a Betlemme. Per 33 anni, Artaban continuò a vagare alla ricerca del suo Re, spendendo la sua vita aiutando i poveri e i malati. Alla fine, arrivò a Gerusalemme, nei giorni della Pasqua. C’era una grande commozione a Gerusalemme. Improvvisamente, una donna, fatta schiava per debiti. mentre veniva trascinata in catene dai soldati, si gettò ai piedi di Artaban. Prendendo l’ultimo dei suoi tesori, la perla, lo diede alla ragazza: “È per la tua libertà, sorella! È l’ultimo dei tesori che avevo tenuto per il mio Re”. Mentre Artaban parlava, un forte terremoto scosse la città. Fu colpito da una tegola. Artaban seppe che stava per morire senza aver trovato il suo Re. La ricerca era finita, ed egli aveva fallito il suo compito. La giovane schiava riscattata, abbracciando quell’uomo vecchio e morente, udì una voce dolcissima, e poi vide che le labbra di Artaban si muovevano lentamente.

Artaban: “Ah, Maestro, ti ho tanto cercato. Dimenticami. Una volta avevo preziosi regali da offrirti. Adesso non ho più nulla.”

Gesù: “Artaban, tu mi hai già dato i tuoi doni.”

Artaban: “Non capisco, mio Signore.”

Allora quella voce inconfondibile tornò a farsi sentire, e la donna poté udirla chiaramente.

Gesù: “Quando ero affamato, mi hai dato da mangiare, quando avevo sete mi hai dato da bere, quando ero nudo, mi hai vestito. Quando era senza un tetto, mi hai preso con te” e prosegui:

“Quando hai fatto queste cose per l’ultimo, per il più piccolo dei miei fratelli – tu le hai fatte per me.” Artaban si rivolse alla donna che aveva liberato dalle catene: “Hai sentito che dice Gesù. Abbiamo trovato il Re. L’abbiamo trovato ed egli ha accettato tutti i miei doni.”

Un lungo sospiro di sollievo esalò flebilmente dalle labbra di Artaban. Il suo viaggio era finito. I suoi regali erano stati accolti. L’altro Re Magio aveva trovato il Re. E il Re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”.

Se trasliamo questa storia sul piano simbolico, Artaban rappresenta a tutti gli effetti la nostra quarta funzione, la nostra funzione inferiore: quella più silenziosa, umile, emotiva, inaccessibile, tardiva che tuttavia alla fine del viaggio si rivela essere quella più efficace e risolutrice.

Secondo Jung e la psicologia analitica esistono, in ogni persona, due orientamenti fondamentali di base, che si differenziano per il loro specifico atteggiamento nei riguardi dell’oggetto: l’estroverso ovvero colui in cui la libido cosciente è rivolta abitualmente verso l’oggetto e il tipo introverso che invece, è sopraffatto dall’oggetto, ed inconsapevolmente attinge energia psichica da esso. Per ciascuno dei due tipi generali di adattamento, Jung associa una funzione psichica specifica, chiamata anche funzione della coscienza. Esistono poi, secondo Jung, quattro funzioni diverse e ciascuno di noi, così come avviene per l’atteggiamento generale di base, ha una predisposizione innata ad usarne prevalentemente una rispetto alle altre, che divengono complementari, ausiliarie e secondarie alla prima, detta dominante. Le quattro funzioni della coscienza sono: il pensiero e il sentimento, dette funzioni razionali in quanto valutano e giudicano la realtà interna; e l’intuizione e la sensazione, dette funzioni irrazionali, in quanto lavorano per mezzo della percezione e permettono un rapporto diretto e immediato con la realtà. La combinazione dei due tipi generali di adattamento con le quattro funzioni genera otto diversi tipi psicologici che rappresentano dei modelli di riferimento all’interno dei quali ciascuno di noi trova la propria personale equazione.

Il ruolo della quarta funzione è estremamente importante per lo sviluppo psicologico dell’individuo, anche se mette a dura prova il nostro Io cosciente. A differenza della funzione dominante, la funzione inferiore è lenta, infantile e tirannica. Essa ha a che fare con ciò con cui gli individui hanno maggiori difficoltà e meno dimestichezza. Per quanto possa sembrare difficile, impossibile e poco interessante, occuparsi della propria funzione inferiore, di fatto, è un aspetto imprescindibile per raggiungere uno sviluppo pieno della propria personalità.

Come ricorda Marie Luise Von Franz:” “[la funzione inferiore] rappresenta la parte disprezzata della personalità, la parte ridicola e non adattata, ma anche quella parte che costituisce il legame con l’inconscio e detiene quindi la chiave segreta per raggiungere la totalità inconscia dell’individuo. Possiamo dire che la funzione inferiore costituisce sempre il ponte con l’inconscio. Essa è costantemente diretta verso l’inconscio e il mondo simbolico” 

Grazie a questa fortissima carica energetica che risiede nell’inconscio, la funzione inferiore non è soltanto negativa, ma è un potente agente energetico. L’assimilazione della funzione inferiore apporta sempre un rinnovamento della vita, una trasformazione, se le permettiamo di agire in noi.

La funzione inferiore rappresenta qualcosa di molto istintuale, primitivo, inconscio che ci connette non solo alle nostre radici più profonde ma anche a quelle dell’umanità intera.

Artaban in fondo è ognuno di noi e la sua storia ci invita a credere che esiste in noi una viva sorgente invisibile da cui possiamo trarre forza e dinamismo conducendoci verso la nostra piena individuazione.