Bisogno di infinito

“Ho licenziato Dio

Gettato via un amore

Per costruirmi il vuoto

Nell’anima e nel cuore”

                   F. De Andrè

Non entrerò nel merito delle polemiche su Sanpà, la celebre serie di Netflix di cui si è già scritto molto in questi giorni. Quel che tuttavia mi interessa è analizzare un tema, sollevato da uno dei protagonisti della serie Fabio Cantelli, a mio avviso molto interessante nella riflessione sulle dipendenze patologiche: l’auto trascendenza. Scrive Cantelli in una intervista a Rolling Stone: “Da che mondo è mondo, l’essere umano porta con sé dalla nascita un impulso irresistibile a uscire da sé, a trascendersi appunto. Sente l’Io come un vestito stretto, un impedimento. Credo perché siamo tutti segnati dall’esperienza prenatale, quando – come scrisse Georges Bataille, uno degli autori della mia gioventù – eravamo «acqua nell’acqua, aria nell’aria». Fusi e confusi al tutto del grembo materno. Il problema è trovare nella vita terrena un modo per soddisfare la fame d’infinito con cui veniamo al mondo”

Cos’è appunto questa fame di infinito di cui parla, quel profondo bisogno di andare oltre sé stessi per recuperare quel sentimento di appartenenza e fusione col Tutto?

Come ci ricorda Jung nel Libro Rosso: “Tu sei un’immagine del mondo infinito, in te dimora ogni ultimo segreto del nascere e del morire. Se non possedessi già tutto questo come potresti riconoscerlo?”

Quanto a che fare con il “sacro” l’utilizzo di sostanze? Quando contiene in fondo un richiamo sotterraneo alla necessità di rinascere a nuova vita?

Zoia in un bellissimo testo del 1985 che trovo ancora attualissimo dal titolo “Nascere non basta, iniziazione e tossicodipendenza” aveva già fatto sua questa interpretazione in cui la lettura del fenomeno tossicomanico era quella iniziatica.

Scrive l’autore: “L’iniziazione presuppone che la semplice nascita ponga l’uomo, nel mondo, in una condizione insoddisfacente, priva di valori e trascendenza; o addirittura soltanto vegetativa. L’accesso ad una condizione superiore è ottenuto con una morte e una rigenerazione simboliche e rituali”. In questo senso il ricorso alle droghe può essere letto come un tentativo inconscio e illusorio di iniziazione dove l’incontro con le sostanze (oggi andrebbe forse esteso a tutte le cosiddette nuove dipendenze senza sostanza?) diviene l’incontro con un nuovo mondo. Questo tipo di interpretazione sgombra il campo da una mera interpretazione carenziale e contestuale del fenomeno per sondare le determinanti archetipiche che sono comuni a tutto il potenziale umano e che muovono verso questa ricerca. In quest’accezione non si osserva solo il negativo di questa scelta bensì il tentativo, seppur fallace e ingannevole, di autoaffermazione positiva. Se alla base dell’iniziazione alla droga risiede un bisogno di trascendenza e una nostalgia del sacro allora dobbiamo davvero pensare che alla disintossicazione terapeutica occorra abbinare un processo di cura che orienti il soggetto verso una nuova nascita. Le droghe da sempre portano con sé “antiche speranze” di immortalità e alludono alla possibilità di accedere ad una saggezza più ampia e antica, e come il “canto delle sirene” ammaliano e irretiscono, essendo messaggere di un altro mondo. Per capire le dipendenze patologiche dobbiamo esercitare e scomodare la nostra fantasia archetipica, liberando il nostro sguardo dai pregiudizi e dall’imperialismo demagogico di tipo moralistico. Da sempre credo che la droga sia lo strumento attraverso cui l’umano chiede di essere liberato da un’esistenza mortifera e priva di senso in cui l’incontro con la morte non è mai la premessa iniziatica ma semmai la drammatica esitazione. Ciò che è percepito come un agito autodistruttivo è in realtà una pratica di autoaffermazione, una richiesta di vita. La morte dell’Io svela il nostro nudo bisogno di infinito.

Ma allora è possibile recuperare il valore di questa ricerca senza accettarne la deriva mortifera e tragica?

Forse cercando di comprendere meglio quel desiderio di assoluto e di mistero che ci anima e ci trascende, con l’obiettivo di chiarire all’esistente che le sostanze, legali e illegali, rendono semplicemente l’accesso più rapido e facile, tuttavia senza riuscire mai a soddisfare la nostra fame di eternità uccidendo gradualmente ogni rapporto con il mondo.

“Di notte il tuo corpo si fa più grande

È reso perfetto dalle tenebre.

È come stare

Nell’infinito senza farci caso”

                           F. Arminio